07/06/2023
L’importanza delle soft skill nell’era dell’AI
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale le
aziende pensano ad automatizzare i loro processi cercando di modificare la
componente di interazione umana, ma nonostante l’AI possa essere utile per
migliorare l’efficienza e la produttività, sono in molti a credere che le
competenze umane, le soft skill rimarranno un elemento
fondamentale.
L’AI cambierà il mondo, ma l’uomo dovrà avere un ruolo durante e dopo il
cambiamento. Come? Valorizzando le soft skill.
In occasione di Conn@ctions Dario Colombo
di Money.it ne ha voluto parlare con Fausto Turco, Ceo di MyDigit,
manager di lungo corso nel modo tecnologico (ha iniziato nel 1985) ed è anche
presidente dell’Accademia dei Commercialisti.
Fausto Turco affronta da molti anni il tema del rapporto
fra umani e tecnologia, da ancor prima che l’AI diventasse un fattore
totalizzante e dominasse la scena del business e del lavoro del futuro.
Lei si definisce un umanizzatore della tecnologia. Le
chiediamo quindi quali sono le principali skill per il lavoro del futuro che
sanno tenere conto dell’influenza tecnologica, ma anche della componente umana?
Si, e ci tengo molto ad esserlo. Da tempo porto con me una
frase che non è mia, ma me la sento quasi mia, “Il vero problema da
risolvere non è tanto se le macchine siano capaci di pensare, quanto se gli
uomini continueranno a farlo” dello psicologo B.F. Skinner,
professore all’Università di Harvard dal 1958 al 1978.
Questo pensiero per me esprime l’interesse in cui gli esseri
umani vogliono sviluppare la capacità di pensare, e come questa
possa essere influenzata dalle macchine e dalla tecnologia o vogliamo
governarla.
In entrambi i casi è una nostra scelta, quindi il
futuro dipende sempre dall’uomo, indipendentemente dagli strumenti che
usiamo quotidianamente, sempre diversi, che cambiano velocemente. A maggior
ragione abbiamo bisogno di un’attitudine e di un approccio non solo
tecnico, accademico, ma trasversale, responsabile e
critico.
Proprio il mese scorso il World Economic Forum ha
stilato una sua classifica con le 15 top skill dei lavori del futuro.
Sono, in ordine: pensiero analitico; pensiero creativo; resilienza,
flessibilità e agilità; motivazione e consapevolezza di sé; curiosità e
apprendimento continuo; alfabetizzazione tecnologica; affidabilità e attenzione
ai dettagli; empatia e ascolto attivo; leadership e influenza sociale;
controllo della qualità; pensiero sistemico; gestione dei talenti; orientamento
al servizio e servizio al cliente; gestione delle risorse e delle operazioni;
AI e big data.
Come si vede, un contesto in cui predominano le soft
skill.
Allora ho voluto chiedere a ChatGPT: “Perché servono le soft skill nell’AI”?
E la sua risposta è stata: per comunicazione e collaborazione,
per il pensiero critico, per etica e
responsabilità, per adattabilità e apprendimento continuo,
per creatività e pensiero laterale.
In sintesi, le soft skill sono indispensabili
nell’AI perché consentono di comunicare efficacemente, pensare in modo
critico, agire in modo etico, adattarsi ai cambiamenti e stimolare
l’innovazione.
Alla fine, sono attitudini, approcci, come dicevo all’inizio,
e dipende da noi se li vogliamo adottare. Senza trascurare
la gentilezza, come grande motore della trasformazione digitale.
Proviamo a pensare all’empatia come a un muscolo, che come tale va
allenato.
Non basta essere all’avanguardia dal punto di vista operativo,
bisogna esserlo anche dal punto di vista umano.
Come presidente dell’Accademia dei Commercialisti, che
sono professionisti che fondano sulla gestione delle relazioni i propri Studi.
Come sta cambiando questa professione sotto l’effetto del digitale?
Come professionista il ruolo non è mai
stato più rilevante o importante, hanno la responsabilità nei confronti dei
loro clienti/aziende di creare fiducia e garantire che vi
siano informazioni affidabili e di qualità che le parti
interessate possano utilizzare per prendere decisioni.
L’ambiente imprenditoriale continua a cambiare, e sotto la
spinta della competitività, dell’innovazione del PNRR, le aziende
stanno correndo e gli studi devono accelerare e adottare misure per
adeguarsi implementando nuove tecnologie, come l’AI, e migliorando le
competenze per soddisfare le nuove esigenze del mercato.
Gli studi devono correre per evitare
di andare a due velocità diverse. È un momento molto delicato per gli studi
professionali, gli anni che verranno non saranno dedicati ad una trasformazione
degli Studi Professionali, dovranno cambiare non trasformare, per molteplici
motivi
Poi c’è il tema del recruiting dei talenti. Le
nuove generazioni sono sensibili alle nuove tecnologie e attratti dell’AI, ma
la professione del commercialista e degli studi professionali è vista come una
professione “vecchia in declino”, e quindi poco attraente alle nuove
generazioni, ci sono sempre meno iscritti negli ordini professionali. Sembra
strano a dirsi, ma gli studi professionali hanno bisogno di nuovo personale di
un cambio generazionale. Come in Italia esiste il problema della
natalità per il mondo del lavoro dei prossimi decenni, gli studi
devono cambiare vestito e cambiare mindset.
Formazione orientate alle nuove tecnologie non come
specialisti, ma come supporto a nuovi modelli di business e non solo alle
normative, e qui c’è una mancanza di cultura, gli studi hanno un approccio di
costo e non di investimento nei confronti della tecnologia, la formazione
ancora tutt’oggi.
L’AI non va confusa come una delle varie forme di tecnologia
digitale: l’AI nasce digitale. Mentre gli Studi più evoluti hanno
digitalizzato alcuni processi, sposandosi nel cloud, ma sempre con un’azione
finalizzata a un processo, l’AI impatterà sul modo di pensare, di
lavorare e dell’ offerta: questa differenza è bene sottolinearla altrimenti
passeremmo un messaggio come un’altra novità semplice innovazione tecnologica.
Invece l’AI cambierà profondamente il DNA di uno studio professionale,
passando da servizi di output a servizi di consulenza sui dati, come un CFO
strategico a supporto delle Pmi.
L’intelligenza artificiale, aiuterà a spingere in avanti la
professione contabile, ma è solo una parte del lavoro e non può
sostituire il giudizio e l’esperienza dei revisori contabili sui dati,
revisori umani.
In questa grande ridefinizione del business e del lavoro
l’intelligenza artificiale ha un ruolo centrale. Sarà totalizzante, dominante
(decide lei, insomma) o può essere guidata, o imbrigliata, con regole, che
sappiano però resistere al futuro?
Il business è fatto di idee, di creatività,
di informazioni e di tanti altri fattori, ma soprattutto di decisioni,
come in politica, che rimane il ruolo centrale e responsabile di ogni attività.
Il problema è se vogliamo lasciare la decisione all’intelligenza artificiale,
ha a che fare con l’etica umana. Sarà dominante se la
lasciamo fare. Sarà integrante se useremo la sua velocità di
ricerca e di sviluppo per usare meglio la nostra proprietà cognitiva,
dove prima di decidere, dobbiamo validare il risultato utilizzando un pensiero
critico.
È difficile imbrigliare con regole, la tecnologia, ed è
difficile parlare di etica globale:
L’AI impatterà a livello globale non solo su alcune
popolazioni, sarà trasversale e accessibile a tutte economie,
ma l’etica ha confini, popoli, storie e culture diverse. Il
problema sarà principalmente geopolitico, come facciamo a sederci
al tavolo per discutere di regole con governi totalitari, diversi da quelli
capitalistici ed occidentali. Già ora Google è diverso in alcuni paesi da
quello che usiamo noi in Italia, sarà molto difficile, ma è una sfida ed un
problema che va affrontato.
L’Europa come ha fatto con il GDPR che poi
è stato preso come esempio globale, e che molti stati e Big Tech prendono come
riferimento, se lo sta chiedendo da circa due anni e ha scritto il documento
AI Act che ha il compito di accompagnare l’innovazione tecnologica
impedendo che diventi un discriminante, che diventi invece uno strumento di
promozione dei diritti e delle libertà, per il benessere di tutti. Si
tratterebbe della prima norma al mondo volta a regolamentare l’intelligenza
artificiale.
Voglio concludere un argomento che ha dei risvolti e
sfumature laiche, ma prendo in prestito le parole del Santo Padre:
“non tutto ciò che tecnicamente possibile o fattibile è perciò stesso
eticamente accettabile”.
Il nostro compito e/o di chi governa gli stati e la
tecnologia è quello di evitare che il business del futuro sia
dominante ed a vantaggio solo di pochi, aggiungendo nuove
disuguaglianze basate sulla conoscenza, sulla disponibilità, sull’accessibilità
ed aumentando il divario tra popolazioni tra i ricchi ed i poveri.
Fonte: Dario Colombo, Money.it